Pirandello lettore e plagiatore di Ludwig Tieck (II parte)

Enrico Bernard
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Nota biografica

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Nota dell'autore - Questo intervento, in corso di pubblicazione sotto forma di saggio sulla "Rivista di Studi Germanici" diretta da Paolo Chiarini, è il frutto di una serie di conferenze che ho tenuto all'università di Toronto nel 2002 e all'Università di Chapell Hill nell'ottobre 2006. Propongo il testo integrale di questi miei interventi perché, in occasione della scadenza dei diritti d'autore dell'opera pirandelliani, sia finalmente affrontato un tema scottante per la letteratura italiana: plagi e attualità nell'opera di Pirandello. Enrico Bernard

IL GATTO CON GLI STIVALI e IL PRINCIPE ZERBINO | LocandinaVoglio ora abbandonare l'esame critico per rispondere ad una domanda: nell'arte non si inventa mai nulla di nuovo: Brecht ha tratto L'opera da tre soldi dal capolavoro di John Gay senza mai depistare o nascondere la fonte originale. Possibile che nella saggistica di Pirandello non vi sia qualche riferimento diretto, esplicito a Tieck, oltre le due marginali citazioni nel saggio Sull'umorismo? Nella commemorazione per i 25 anni della morte di Pirandello pubblicata a Roma nel 1962 col titolo Pirandello e i romantici tedeschi, Bonaventura Tecchi riferisce a questo proposito un singolare episodio:

«L'unica volta – racconta Tecchi - che ebbi la fortuna di conoscere Pirandello e di parlargli a Roma, credo verso il 1934, mi permisi di dirgli che in un libretto comparso nel 1929, ma scritto nel 1924, avevo azzardato l'ipotesi che Pirandello, studente a Bonn, avesse preso qualche cosa dal 'William Lovell' di Tieck. Pirandello mi interruppe e non sembrò negare affatto: Lo sa – mi disse sorridendo – che a Bonn io feci una tesina su Ludovico Tieck? Ho cercato in quella università nell'archivio e finora non ho trovato nulla.»

Una tesina, oltretutto introvabile? È molto strano che Pirandello, che tanto deve a Tieck, si accontenti di una tesina universitaria che non si cura neppure di conservare. E c'è anche un altro fatto strano: nelle 84 lettere scritte da Bonn, tra il 1889 e il 1891, Pirandello non fa menzione particolare di qualche autore tedesco. Solo Heine viene nominato una volta il 13 luglio 1890 e in una precedente lettera si ha notizia di una visita alla casa natale di Goethe. Un'altra sola volta Pirandello accenna ad un saggio italiano su Lessing di cui ha bisogno per completare una ricerca. Tutto qui. E questo sarebbe uno studente di germanistica, appassionato di teatro che si sta formando sui classici della letteratura tedesca? Il silenzio di Pirandello sui suoi riferimenti, sulle sue letture e sulle sue traduzioni – a parte alcuni sonetti di Goethe di cui si ha notizia – è pressoché anomalo: una cortina di ferro con cui il drammaturgo siciliano nasconde qualcosa: l'origine della sua concezione teatrale. Eppure i rapporti sono evidenti: come non scorgere un parallelo tra la teoria pirandelliana dell'Umorismo e quella romantica della Ironie? Come non accorgersi del continuo ritorno di temi romantici nell'opera di Pirandello, come lo sdoppiamento della personalità, il tema della follia come recupero dell'individualità, il binomio realtà-finzione, la problematicità dell'arte e molto altro ancora? Non soddisfatto della risposta di Pirandello circa la "tesina" su Tieck, con cui il drammaturgo vuole scansare l'impertinente curiosità che lo costringerebbe a qualche ammissione di troppo, Bonaventura Tecchi, nel saggio I romantici tedeschi, del 1959, riallacciandosi alle osservazioni, che dalla Germania cominciano a trovare udienza anche presso la critica francese, torna sull'argomento dei rapporti tra Pirandello e Tieck:

«Tieck butta all'aria tutta la struttura tecnica dell'antico teatro: spettatori che interloquiscono nell'azione scenica e diventano attori, personaggi che si ribellano, l'autore stesso che viene alla ribalta e teorizza e polemizza col pubblico o con i suoi personaggi… rappresenta un'incredibile anticipazione di sommovimenti che non esitiamo a chiamare pirandelliani».

Ci siamo: anche Bonaventura Tecchi, che fino al '59 aveva parlato di influenza di tematiche tickiane su Pirandello, giunge ad una definizione più netta superando finalmente la tesi troppo riduttiva dell'ispirazione pura e semplice, comune a tutti gli scrittori di qualsiasi epoca, per entrare direttamente nella struttura drammaturgica pirandelliana di cui Tiek, per la prima volta in Italia, viene considerato "anticipatore". Solo "anticipatore"? Bonaventura Tecchi non se la sente di approfondire la sua intuizione, e questo per svariati motivi di opportunità. Pirandello è un "grande", un Premio Nobel, deve essere tutelato da eventuali attacchi o revisioni che, allora, avrebbero potuto provocare un impoverimento del patrimonio culturale italiano. Per questo motivo Bonventura Tecchi, considerata anche la particolare occasione commemorativa, il discorso per i 25 anni dalla morte del drammaturgo, taglia corto alle possibili nascenti polemiche che una troppo accurata disamina critica e filologica delle opere di Pirandello avrebbe allora comportato:

«Vogliamo forse mai – scrive Tecchi – con queste allusioni intaccare minimamente l'originalità di Pirandello? Diminuirne l'importanza? Sarebbe ridicolo, sciocco! No – conclude Tecchi – noi vogliamo aumentare lo scrittore siciliano nella nostra stima: dire che fu sì un italiano del Sud, ma che non gli furono estranee le inquietudini del tempo suo e di quello che lo precedette. Vogliamo immetterlo in un cerchio europeo di idee, di inquietudini, di tendenze tipiche di un'epoca, la quale iniziò allora con un periodo doloroso e pericoloso eppure fulgente di novità artistiche. Quell'epoca non è ancora chiusa…»

Il mondo letterario italiano fa dunque per decenni, in buona fede anche se a danno di un altro grande scrittore, quadrato intorno al suo massimo esponente, il più rappresentativo e il più considerato all'estero. A ciò contribuì forse involontariamente anche Benedetto Croce, che non fu mai grande estimatore di Pirandello. Infatti Croce tagliò corto col romanticismo italiano minimizzandolo: «non è mai esistito un vero romanticismo italiano». Ma la verità è un'altra e bisogna pur dire, contro Croce, che il romanticismo in Italia è invece arrivato, anche se con un secolo di ritardo. Ed è arrivato proprio con Pirandello che a Bonn, poco più che ventenne, ne assorbì la cultura, la filosofia, le tematiche e le tecniche. A questo proposito, Bonaventura Tecchi insiste, ad esempio, sul tema del doppio e dello specchio che collega Il cavaliere Barbablu, altro testo teatrale di Tieck del 1796, al romanzo Uno, nessuno e centomila di Pirandello: in entrambe le opere il protagonista è folgorato dalla propria immagine che all'improvviso presenta un'anomalia: la barba che si tinge di blu di Ritter Blaubart e il naso del protagonista del romanzo di Pirandello. Bonaventura Tecchi ammette, con tutta la diplomazia del caso, che alcune battute de Il Cavaliere Barbablu potrebbe averle scritte Pirandello. Questa ad esempio:

«Alla fine dei conti tutti noi non siamo che pupazzi. La vita non è alla fine, per tutti, che uno stupido gioco di marionette.»

Tuttavia Pirandello, ripeto, sembra voler cancellare ogni traccia e ogni rapporto con Tieck. Anzi, quando si tratta di svelare l'origine delle sue idee, nella prefazione ai Sei personaggi, racconta una favola:

«È da tanti anni a servizio della mia arte (ma come fosse da ieri) una servetta sveltissima e non tanto nuova ma sempre del mestiere, si chiama Fantasia».

Fantasia? Ha ragione Pirandello a dire che si tratta di una servetta «sveltissima e non tanto nuova»: "fantasia" è infatti la parola d'ordine del movimento romantico di cui Tieck è considerato il caposcuola! Insomma, contagiato dal "complesso del secondo atto" , quel fatidico passaggio dal secondo al terzo atto de Il gatto con gli stivali di Tieck, Pirandello sembra ossessionato dall'ombra del suo genio ispiratore. In una delle "Conversazioni col pubblico" che teneva negli intervalli delle sue recite per spiegare la sua "invenzione" teatrale, Pirandello confessa un disagio:

«L'autore che avete qua davanti a voi è due volte colpevole verso i suoi personaggi: prima quando si è rifiutato di comporre dalle loro persone e dai loro casi un dramma, il loro dramma; poi perché, quasi alle loro spalle, quand'essi – rifiutati – se ne sono andati in cerca d'altro autore, ha rappresentato invece la commedia, questo loro vano tentativo d'una vita qua su queste tavole di palcoscenico senza l'ingegno e l'opera illuminante d'un poeta che sapesse organizzare e comporre armoniosamente le loro passioni in contrasto».

Si tratta di un'ammissione di colpevolezza o della civetteria dell'autore che finge di dissociarsi dalla sua opera? Certo è che questi "sei personaggi alla ricerca d'autore" sono emblematici di un percorso che Pirandello dissemina di rimandi, richiami, riferimenti più o meno espliciti, senza mai però fare i conti con l'ombra di Tieck che si insinua nella sua opera fornendogli la struttura, la tecnica per concepire i suoi capolavori. Se è vero, com'è vero, che non esiste al mondo drammaturgo che non abbia colto i fiori del giardino di un collega - Brecht insegna -, è anche vero che la storia del teatro ha il dovere di recuperare e segnalare rapporti, osmosi, variazioni che determinano in ultima analisi l'evoluzione della drammaturgia. In questo quadro vanno allora spiegati e motivati i silenzi e le mezze ammissioni di Pirandello, al quale, oggi come oggi, non può più nuocere una seria revisione critica che tenga anche conto della difficile, ostile situazione storica, ambientale, in cui ha vissuto e lavorato. Basti pensare che la prima rappresentazione di successo di una sua opera è giunta solo nel 1922, a Milano, dove fu rimediato al disastro della serata del Valle a Roma con un lungo applauso. Pirandello aveva 53 anni ed era entrato nell'ultima fase della sua vita, coronata dal Premio Nobel del 1934 poco prima della morte. Diventano allora chiari i motivi della reticenza di Pirandello nei confronti di Tieck: quanto più Pirandello si sente legato al grande romantico tedesco, tanto più è costretto, dalla difficoltà di affermarsi come autore, a negarla nel timore di essere sminuito. Nessun autore, beninteso, parla molto volentieri dei suoi predecessori cui ha direttamente attinto: ma il silenzio di Pirandello su Tieck avrebbe del patologico, se non fosse spiegabile con le enormi difficoltà incontrate fino ad un certo punto della sua carriera. Tuttavia, come si è visto, Pirandello cita continuamente Tieck: solo che lo fa indirettamente, puntellando la sua opera di richiami, riferimenti testuali sicuramente voluti e messi lì perché qualcuno se ne accorgesse, addirittura confessando la "sua colpevolezza", sminuendo la sua funzione drammaturgica all'interno della sua stessa opera che rappresenta un atto d'accusa della vita contro l'arte e l'artificio. D'altra parte è qui che va individuata la grandezza e la modernità di Pirandello: mentre Tieck rappresenta la pochezza intellettuale della borghesia tedesca di fine '700 e la mette scherzosamente alla berlina tramutando la "tragedia" tedesca (tragedia perché l'irrazionalismo e Hitler sono in agguato) in farsa, Pirandello intuisce la tragicità della farsa tramutandola in dramma ossessivo della personalità. Personalità che, ingabbiata dalle convenzioni sociali della borghesia del primo '900, è in bilico sul baratro del nulla e dell'autodistruzione. Tuttavia, ecco il punto di congiunzione, Tieck e Pirandello pur rappresentando due modi distinti di aggredire l'ideologia borghese, adottano entrambi lo strumento del "teatro nel teatro" di cui però Tieck è il vero ideatore e Pirandello l'ideale prosecutore.

Il mio contributo finisce qui. Spero di aver stimolato una rilettura di Pirandello e di aver contribuito al recupero dell'opera di uno straordinario autore teatrale, Ludwig Tieck, che fu rispettato, ammirato ed anche imitato dai due pilastri della letteratura europea dell'era moderna: Goethe e Pirandello. Vorrei solo aggiungere una considerazione personale. Credo di rappresentare il più "pirandelliano" – cioè il più "formalista" e filosofico – autore teatrale della mia generazione: Pirandello è stato fondamentale, fin dalle prime letture a 16 anni, per la mia concezione del teatro S-naturalista. Ritengo allora che la grandezza di Pirandello stia nell'aver costruito una macchina teatrale capace di "macinare" l'ideologia borghese del suo tempo e di far volare l'aeroplano della fantasia drammaturgica sopra la montagna dei suoi fantasmagorici "giganti". Ma la macchina volante del teatro di Pirandello si sarebbe staccata da terra se il Wright del teatro, Ludwig Tieck, non avesse messo le ali a Melpomene, la musa delle arti sceniche?

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Num. 20 § Analisi
Pirandello lettore e plagiatore di Ludwig Tieck (II parte)
di Enrico Bernard ¦ pubblicato: dicembre 2006 [visita 4874 29-gen-2012 @ 22:46]

Enrico Bernard

Enrico Bernard (Roma, 1955).
Autore, regista, saggista, critico e storico del teatro.
Vive in Svizzera nel Cantone di Appenzell AR e lavora negli Stati Uniti e a Roma.

Si è laureato in filosofia nel 1980 alla Sapienza di Roma con 110 e lode. La sua tesi ("Il privato terrorista") sulla figura del ribelle e del terrorista nella cultura tedesca è stata pubblicata nel 1986 ed è attualmente adottato dalla Facoltà di Germanistica dell'Università di Milano per un corso di Laurea sull'estetica del '68.

I suoi testi son stati rappresentati in Italia, Germania, Svizzera, Austria, Francia (Parigi), Stati Uniti (New York). Numerose sue opere sono state pubblicate su riviste specializzate.
Collabora con saggi di letteratura, teatro e filosofia alle seguenti testate: Esperienze Letterarie, Forum Italicum, Nuova rivista di Studi Italiani, Rivista di Studi Germanici.
Ha scritto il Manifesto del Teatro S-naturalista che è stato illustrato da Dario Fo e pubblicato nel sito del Premio Nobel (www.archiviofrancarame.it).
Negli Stati Uniti le sue commedie sono pubblicate in lingua inglese da Soleil Publishing ed in Germania in lingua tedesca dalla Verleger gmbh.
Ha ricevuto la Maschera d’Argento del teatro italiano alla carriera ed ha vinto il premio dell’Istituto del Teatro italiano per la commedia “Magnetic theater play”.
Ha tenuto conferenze in università americane e canadesi (Duke, Chapel Hill, Mississagua, Toronto, Stony Brook, Queens).
Dal 2002 tiene corsi e seminari di storia del teatro e del cinema al Middlebury College nel Vermont.
È attualmente il direttore artistico della Scuola Italiana del Middlebury College nel Vermont.
Ha tenuto corsi di drammaturgia per il Teatro di Roma presso il teatro di Torbellamonaca.
Al suo teatro S-naturalista il DAMS di Bologna ha dedicato una serie di presentazione ed incontri.
Ha ideato e curato la prima enciclopedia del teatro italiano “Autori e drammaturgie”.
È autore del romanzo storico-biografico sul conquistatore "Tamerlano".
Dalle sue commedie sono stati tratti alcuni film per la produzione Rai Uno (“Forver Blues” con Franco Nero).
Da due sue commedie ha realizzato due films ("Un mostro di nome Lila" 1998 e "Il giuoco dei sensi" 2002) con Eva Henger nella sua prima versione non hard.
Ha diretto realizzato diversi documentari ("Teatri e pubblico del Lazio", "Sentieri d'ascolto" per la REgione Lazio e Provincia di Roma) ed ha scrito e diretto un mediometraggio della serie "Corti circuiti" supervisionata da Tinto Brass.
Dirige la collana editoriale dei "Meridiani del Teatro".

Ha tradotto in italiano alcuni classici del teatro tedesco come Ludwig Tieck ("Fiabe teatrali" edizioni Costa e Nolan, "Viaggio intorno al mondo" di von Chamisso, edizioni Guida) e autori contemporanei tedeschi.

Dalla sua opera teatrale "La voragine" ha tratto una novellizzazione pubblicata da Studio 12.


[email: enricobernard@gmx.it]